martedì 30 novembre 2010

Si, ma i Kangaroos?


Vi chiederete voi.
"Più di un anno che scrivi di bestie e stranezze e non ci hai ancora parlato dei canguri?"

Si avete ragione, e potete stare tranqiulli: i canguri ci sono e sono anche animali molto belli.
Se venite da queste parti e vi mettete in macchina, soprattutto se puntate verso l'interno, dovrete stare attenti a quando attraversano la strada d'improvviso, saltando come cavallette mastodontiche. Non è difficile vederli liberi per il bush.

Ma invece di pararvi dei kangaroos, vi parlo dei koala!
I koala puzzano di brutto, e non è per niente facile avvistarli sui rami degli alberi. Non perchè si mimetizzano, ma perchè il loro numero è così ridotto che è una specie a rischio.

L'uomo bianco, con la sua saggezza, ha pensato bene di cacciarlo per venderne la pelliccia in Europa. Solo all'inizio del 20° secolo più di un milione di koala fu sterminato per questo motivo, con l'ultima grande mattanza che ha avuto luogo nel 1927 quando, nonostante la presenza di più movimenti sensibili alla condizione critica di questi innoqui animali, furono eliminati in un solo mese 600.000 esemplari.
L'impatto di questa carneficina è stato tale che la popolazione dei koala non si è più ripresa.

Va anche detto che la sfortuna di questo marsupiale, specializzato nella digestione delle foglie di alcune specie di eucalipto, è legata al fatto che l'unica parte dell'Australia in cui l'eucalipto cresce o cresceva rigoglioso, così come per la maggior parte degli alberi presenti sul continente, è la costa orientale, dove l'uomo bianco ha deciso di stabilirsi.
L'urbanizzazione e la destinazione a colture di enormi porzioni di territorio continua tutt'oggi a sottrarre spazio vitale ai koala, ormai ridotti a meno di 100.000 esemplari (liberi).

La loro dieta a base di velenose (per gli altri animali) foglie di eucalipto, con un contenuto calorico ridicolo, fa sì che i koala passino fino a 18 ore al giorno a dormire sugli alberi. Esiste una leggenda metropolitana secondo la quale i koala, cibandosi di foglie tossiche, passino in realtà molto tempo in trip chimici come i giovani che prendono pasticche il sabato sera. Ovviamente è una stupidaggine mentre è invece vero che non bevono mai (quasi mai) acqua, che viene ricavata invece dalle solite foglie. Da qui il nome che è evidentemente una trascrizione del nome attribuito a questo animale da alcune tribù aborigene, che vuol dire "no bere".

Appare chiaro, come al solito, che gli aborigeni conoscevano perfettamente il territorio e gli animali che lo abitano. Gli europei invece, senza particolari pensieri, hanno chiamato per lungo tempo i koala scimmie o orsi. O ancora meglio orsi-scimmie o orsi nativi. Senza tenere conto che i koala sono erbivori e sopratutto marsupiali!

In qualche modo comunque al koala è andata bene, per quanto riguarda il nome.
Uno dei fatti più ridicoli della colonizzazione inglese, è stato infatti il nome attribuito ai canguri!
I supponenti sudditi della Regina infatti, appena arrivati hanno subito chiesto, in inglese, il nome di quell'incredibile animale che salta.

"What is its name?" - "Come si chiama?"
"Kanagaroo!" - "Non capisco!"
"What?" - "Come?"
"Kangaroo!" - "Non capisco!"

E kangaroo è rimasto. Che tristezza.

A tutt'oggi i koala sono una specie a rischio ed il governo federale, così come i governi locali, non hanno ancora chiarito o stabilito lo status di questo innoquo ed indifeso dormiglione.
Il Queensland è uno Stato interessato alla questione in quanto possiede metà della costa orientale dell'Australia e delle sue foreste. Putroppo lo sviluppo urbano, soprattutto nel sud-est, cioè l'area di Brisbane, della Sunshine Coast e della Gold Coast, è in forte aumento e si rimanda il problema in nome del mattone (del legno in realtà, dato che il mattone per le case è rarissimo).
Ma se passate di qua potrete comunque vedere tantissimi koala al Lone Pine Koala Sanctuary di Brisbane, dove questi animali vengono curati, accuditi e rimessi in libertà in zone sicure. Il biglietto è un poco caro ma serve a finanziare il parco e ad aiutare la sopravvivenza dei Koala.
Sono dollari ben spesi.

Infine vi lascio con questa foto:



Pochi giorni fa a Magnetic Island, durante un giorno di pioggia, un koala ha pensato bene di entrare al pub locale per ripararsi. Ha puntato una bella trave del soffitto e ci si è arrampicato. Dopo pochi minuti, nonostanto la confusione intorno al bancone, si è tranquillamente addormentato.

lunedì 22 novembre 2010

Sul surf, i grandi classici ed il peccato


E' un periodo in cui penso spesso alle onde e all'arte del cavalcarle.
Per cui, anche se ne ho scritto da poco nel post Breath, ritorno sull'argomento.

Due settimane fa, al mare, ho assistito ad una scena bellissima. In mezzo ad una marea di aspiranti surfisti, c'era un signore, sui 40, che stava in acqua col figlioletto. Il bambino poteva avere 5 anni ed era alto... non saprei, era un tappo! Uno scricciolo di bambino.
Ovviamente aveva la tavola da surf.

Immaginatevi una baia riparata dalla forze del Pacifico, dove le onde arrivano ordinatamente, quasi tutte uguali, una dietro l'altra Un posto dove puoi scegliere di andare a prenderle là dove si rompono o più vicino, dove un piccolo e potente muro di schiuma bianca ti travolge senza fine. (per la cronaca, la località si chiama Noosa, qua).

Il padre stava a mollo, con l'acqua al petto. Il nanetto stava sdraiato sulla tavoletta, in attesa.
Al momento giusto il padre spingeva la tavola per farle prendere l'onda in arrivo, ed il bambino saltava sù come un fulmine ed iniziava a surfare. Non a tentare. No. Il nanetto surfava, e girava, e sterzava, e pestava i piedi verso la punta per far prendere velocità al surf, e cavalcava fino a quando era soddisfatto. Poi d'un tratto era nuovamente sdraiato e remava per tornare dal padre, in cerca sempre del punto migliore per il lancio.
Ha preso più onde quel bambino che la maggior parte degli adulti in acqua quella mattina..

Così, affascinato da questo mondo di meduse, squali e correnti assassine, popolato però da intere generazioni di surfisti non particolarmente allarmati dai pericoli, mi sono ritrovato a cercare e leggere qua e là informazioni su quest'arte così particolare ed affascinante.

Ho comprato un interessante libro sulle onde, intese in senso lato. Si intitola "The wavewatcher's companion", in italiano mi sembra non sia ancora uscito, ma dovrebbe suonare come La compagnia degli osservatori delle onde, scritto da Gavin Pretor-Pinney (potete trovare invece dello stesso autore: Cloudspotting - Una guida per i contemplatori di nuvole).
L'argomento onde è vastissimo ed il libro surfa tra quelle marine, quelle acustiche, quelle elettromagnetiche, quelle generate dai terremoti, quelle generate dalla gente negli stadi ecc..
L'ultimo capitolo è dedicato proprio al surf ed alla fisica che lo regola. Ma anche all'arte del governare la fisica senza essere scienziati.

Ma non mi sono fermato ed in rete sono incappato in alcune curiosità della storia del surf.
Prendo spunto da questa pagina web in inglese, che completa il lancio di un documentario su alcune particolari figure del passato di questo sport, per raccontarvi qualcosa che credo meriti.

A quanto leggo la prima documentazione scritta della storia relativa al surf, ha a che fare con James Cook. Sempre lui! In realtà il grande capitano, responsabile del primo insediamento britannico in Australia, non fece effettivamente in tempo a scrivere di surf perchè venne ucciso durante la sua terza spedizione, alle Hawaii, proprio dove lui ed il suo equipaggio furono per la prma volta testimoni delle gesta degli indigini sulle onde.
L'ònere di tenere il diario di bordo passò così al tenente James King che dedicò ben due intere pagine alla descrizione di questa insolita attività. Correva l'anno 1779 e King, dopo una descrizione che include tante delle manovre ancora oggi compiute, concludeva così:

"The above diversion is only intended as an amusement, not a tryal of skill, and in a gentle swell that sets on must I conceive be very pleasant, at least they seem to feel a great pleasure in the motion which this exercise gives."

"L'attività descritta è intesa solo come un divertimento, non una prova di bravura, e con delle onde gentili, devo ammettere che sembra essere veramente piacevole, almeno sembrano provare grande soddisfazione dal movimento che questo esercizio crea."


Poichè gli hawaiani non conoscevano la scrittura, non è possibile indicare quando questa attività così insolita ha avuto inizio. E' però stupefacente pensare che, se le Hawaii sono state colonizzate dagli spostamenti dei polinesiani, come sembrano dover ammettere gli antropologi, con un processo iniziato 2000 anni prima di Cristo, è probabile che non solo i popoli delle isole del pacifico possedevano conoscenze marine raffinatissime che consentivano loro appunto di spostarsi per centinaia o anche migliaia di chilometri in mare aperto a bordo sostanzialmente di canoe, ma anche che questi praticassero l'arte del surf ben prima che Colombo fosse nato!
A questo proposito torna utile il libro di Pretor-Pinney e lo studio raffinato delle onde marine, che possono rivelare la lontana presenza di terra ferma all'occhio di chi le sa leggere. Figuratevi se un popolo in grado di concepire tali spostamenti in mare aperto, non fosse in grado di cavalcare un onda!

Purtroppo le Hawaii, come molte isole del pacifico, abitate sostanzialmente da popoli gentili e dediti ai piaceri della vita, furono presto invase da ogni tipo di avventurieri, guerrieri, governatori, vagabondi, assassini, mercanti, malattie e predicatori del vecchio mondo.

La cultura del surf, che alle Hawaii faceva profondamente parte della vita sociale, attraverso riti, preghiere, sfide per il regno o per le spose, Dei da placare e bravura da mostrare, fu violentemente minata.
Ovviamente a dare il colpo più duro furono i religiosi, che hanno sempre avuto l'implacabile istinto di viaggiare per i sette mari pur di riuscire a rovinare la vita altrui.
In questo caso i distruttori furono dei Calvinisti Cristiani inglesi, arrivati nel 1820.
Non solo volevano convertire gli indigeni al culto di un solo Dio, ma ovviamente pretendevano che le persone fossere più vestite, che lavorassero di più, più duramente, che facessere meno sesso e che giocassero di meno. Ed il surf, manco a dirlo, era un'attività da cancellare!

L'unica cosa a sparire più velocemente della cultura hawaiana, erano gli hawaiani stessi. Decimati dalle malattie portate dal vecchio mondo.

Una delle più vecchie foto esistenti di un hawaiano con la sua tavola, fine '800.



Così durante l'800 non rimasero che pochi, sparuti, deprecabili, ignoranti, peccaminosi indigeni a tramandare l'antica arte del surf.
Eppure il cambiamento di rotta era nell'aria.
Durante quel secolo infatti sia Robert Louis Stevenson, che Herman Melville, che Mark Twain passarono per le Hawaii. E se i primi due si limitarono ad utilizzare i paeseggi tropicali per ambientare le loro storie, il buon Twain si fermò a sufficienza per vedere, capire, apprezzare e praticare il surf! Non solo infatti scalò il Kilauea durante un'eruzione, non solo cavalcò in giro per l'isola fino a che il sedere non gli fece male, non solo tentò di nuotare nudo con le native (altrattanto nude), ma si cimentò pure, anche se senza successo, nel tentativo di cavalcar le onde per la quali "solo i nativi potevano dominarne la pratica".
Putroppo Mark Twain al tempo non era ancora famoso e del surf ne parlò solo in alcune lettere private.

Ma evidentemente, nonostante l'immoralità, era solo questione di tempo.

Capitò così che con l'avvento del nuovo secolo, furono proprio 3 uomini bianchi, ed un hawaiano, a ridare vita a questo sport.
Accadde che nel 1907 Jack London, già autore di tre grandi successi quali Zanna Biancha, Il richiamo della foresta ed Il lupo di mare, fece visita, con la moglie, alla località di Waikiki. Avendo preso sistemazione proprio davanti ad una delle poche spiaggie in cui veniva ancora praticato il surf, non potè fare a meno di interessarsene. Conobbe così un eccentrico giornalista inglese dal nome di Alexander Hume Ford, che lo iniziò alla pratica, ed i surfisti locali, tra cui il mezzo scozzese George Freeth, un maestro della tavola ma anche un completo uomo di mare. Inutile dire che Jack London divenne presto un surfista ed immediatamente scrisse di questo sport nel saggio "A Royal sport. Surfing in Waikiki".
(Personalmente trovo stucchevole che London abbia definito il surf come uno sport Reale, cioè della Regina o del Re d'Inghilterra, ma sicuramente in generale fu il male minore..)

George Freeth con la sua tavola.


Il racconto di London ebbe una tale risonanza che Freeth, il genio della tavola, fu invitato in California da un magnate della ferrovia per una dimostrazione pratica. Freeth fu dunque ufficialmente il primo uomo a surfare un'onda in California (in seguito poi patria del surf moderno con l'Australia e le Hawaii) anche se testimonianze dell'800 raccontano di equipaggi di hawaiani a bordo di vascelli inglesi e americani correre verso riva per cavalcare nuove onde in località per loro mai viste prima.

Così mentre London promuoveva il nuovo sport reale nei salotti più importanti, e Freeth lasciava di stucco le folle astanti in giro per il mondo, Hume Ford si diede da fare per ricevere dei fondi che consentissero la fondazione di un surf club a Waikiki.
Il club si fece e prese il nome di Outrigger Canoe Club. E nel 1915, quando London tornò a far visita, possedeva già 1200 membri!

L'ultimo tassello per la rinascita di questo sport fu aggiunto dall'hawaiano e leggendario Duke Paoa Kahanamoku. Un talento sulle enormi tavole dell'epoca, ma anche un incredibile nuotatore. Nel 1912 aveva già battuto 3 volte il record mondiale sui 100m stile libero, rivoluzionandone tra l'altro la tecnica.
In quello stesso anno, passando per la California diretto a Stoccolma per le Olimpiadi, diede anch'egli una dimostrazione di surf che fece ancora più clamore della prima.
Vinse le Olimpiadi e pure quelle successive, passando molti anni a dare dimostrazioni di nuoto e surf in giro per il mondo.

Fu lui, nel 1915, nella spiaggia di Manly, Sydney, a dare una dimostrazione di surf ai dimenticati sudditi della Regina, dando all'Australia un nuovo sport di cui sarebbe poi diventata portabandiera.
Il campione dei campioni: Duke Paoa Kahanamoku.

venerdì 12 novembre 2010

Aspettando La Niña

Non ci sono più le mezze stagioni.

A quanto pare il 2010 in Australia, o per lo meno nel Queensland, si sta rivelando come il più piovoso da non so quanti anni.
La stagione secca, cioè l'inverno appena passato, doveva essere portatrice di innumerevoli giornate soleggiate. E' stata invece portatrice di innumerevoli giornate grigie e spesso piovose.

Oggi, ad un passo dall'estate, la solfa non cambia, considerando anche che l'estate è proprio la stagione delle pioggie.
Certo, col sole così a picco, la temperatura aumenta anche se il cielo rimane coperto. Siamo già vicino ai 30 gradi nonostante il vento fresco ed il grigiore spesso presente.
Apro parentesi: è curioso notare come a queste latitudini la temperatura non dipenda dalle perturbazioni, dall'alta o bassa pressione, dallo scirocco che non esiste o dall'anticiclone delle Azzorre, bensì principalmente dalla verticalità dei raggi solari. C'è sempre più caldo nonostante il sole splenda solo per due giorni a settimana.

Comunque le condizioni sono insolite e serpeggia una certa preoccupazione. A quanto pare si stanno creando le condizioni per le quali le prossime pioggie torrenziali estive potranno trasformarsi in eventi funesti. Che per Brisbane significa alluvione.

L'ultima sciagura di questo tipo è avvenuta nel 1974.
Alle 2 del mattino del 29 gennaio il fiume, alimentato da tre settimane di pioggie continue, precedute da una primavera incredibilmente piovosa, e aiutato dalla presenza del ciclone Wanda, ruppe gli argini raggiungendo un picco di 6,6 metri oltre il livello massimo degli argini.
Se avete presente quanto è largo il Brisbane River, potete immaginare quanta acqua accorra perchè, nonostante sommerga enormi porzioni di città, si elevi per altri 6 metri abbondanti!
Fu una catastrofe, ovviamente.
6.700 case furono sommerse, 14 persone annegarono, innumerevoli attività commerciali furono messe in ginocchio e i danni furono stimati intorno ai 200 milioni di dollari.



Oggi gli esperti ci dicono che il 2010 sta ricreando le stesse condizioni di pericolo di quello sfortunato anno, e che per l'estate sono previsti 5 o 6 cicloni in arrivo. Ed in qualche modo pure il fenomeno de La Niña sembra centrare, e che tutto converge verso una situazione di pericolo.

Insomma, non ci resta che aspettare e vedere. Se queste valutazioni hanno lo stesso valore delle comuni previsioni del tempo, che non ne azzeccano una, allora non cadrà neanche una goccia!

Nel mentre sono rimasto affascinato da questa foto:

Dei bambini vengono tratti in salvo su di una porta di legno.
Piove ancora. L'acqua scorre velocemente tra le gambe dei soccorritori, sembra quasi un fiume. E fa caldo. Tre dei sette uomini infatti sono a torso nudo, in pantaloncini.
Ma la cosa più bella è che due dei tre uomini a torso nudo hanno una lattina di birra in mano!!

La cosa è tanto assurda che sembra sia una trovata pubblicitaria.
E' come se quei tre fossero stati seduti a bere la birra davanti alla tv fino all'ultimo momento, come Homer Simpson, finchè l'acqua ha finalmente portato via la scatola magica. A quel punto si sono accorti che qualcosa non andava e sono usciti di casa, ma senza rinunciare all'inseparabile bevanda, ancora a metà.
Il vero spirito Australiano!

Take it easy mate!


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The pictures in this page belong to their owner

mercoledì 3 novembre 2010

It's the Melbourne Cup!



Mentre in banania la vita cittadina si ferma solo in occasione di eventuale finale mondiale di calcio giocata dalla nazionale azzurra, in Down Under sono diversi gli avvenimenti che ipnotizzano la popolazione.

Lo State of Origin di cui ho parlato, The ashes relativo al cricket, le celebrazioni ai caduti in guerra nell'Anzac Day, le varie finali di football AFL e NRL, l'Australia Day di cui ho scritto e forse dimentico ancora qualcosa. Ed ovviamente c'è la Melbourne Cup!

In questo caso non è un torneo di tennis, non ha a che fare con la formula1 e neanche con la vela. Trattasi infatti di una corsa di cavalli.

Ieri 2 novembre, si è disputata la 150° edizione.
L'evento è stato un cataclisma. Hanno cominciato a parlarne da un mese prima e d'un tratto tutto sembrava dipendere dalla Melbourne Cup e dal suo svolgimento.
In tv tutti i talkshow hanno dedicato spazio all'argomento, e tutti sembravano diventati di colpo esperti di cavalli e fantini. Ma a stare bene attenti il tema centrale non era la gara, ma le scommesse e il vestito giusto con cui buttare il proprio denaro!

Donne forse in fila per il bagno che fanno comunque sfoggio dei loro improbabili cappelli


Ore di parole per tenere aggiornato il pubblico sulle quote dei cavalli, su come vestirsi e quale è l'ultimo trend in fatto di abbinamenti e acconciature equine. Storie agonistiche dei cavalli, comparazioni delle quotazioni delle varie agenzie, ospiti internazionali ed emeriti sconosciuti, abiti improbabili e sorrisi smaglianti.
Una fiera, un carnevale mediatico che ha coinvolto tutti.
Non c'è stato ufficio o posto di lavoro in cui non si sia organizzato un pranzo per l'evento, e non si siano raccolte le puntate per le scommesse. Dall'ultimo irraggiungibile piano della Aurora Tower di Brisbane, al baretto che vende fish'n chips a Red Cliff, dal Meriton World Tower di Sydney all'ultima pompa di benzina prima dei 2000km del Simpson Desert. La 150° Melbourne Cup è arrivata ovunque. E non era sola.
Per circa 5 ore la regina di tutte le gare è stata preceduta da una serie di competizioni di contorno che servivano a scaldare i muscoli ai cavalli e svuotare le tasche ai cittadini. Ore di diretta con tanto di mastodontico Boing 777 della Emirates in volo a bassa quota sull'ippodromo stracolmo di gente in mostra. Tra l'altro c'era anche uno sponsor italiano, la Lavazza, che in collaborazione con la Emirates, appunto, regalava settimane da sogno tra Roma, Venezia e Firenze.

Insomma, spero mi abbiate capito.
L'Australia si è fermata per quasi un giorno intero.

E mentre a Melbourne come al solito in 5 minuti passavano dall'inverno all'estate e poi ancora all'inverno, quassù nel Queensland il sole splendeva inesorabile.
Così, complice l'arrivo in città di un amico in viaggio da tempo, ho inforcato gli occhiali da sole e sono andato a respirare l'aria della corsa/festa in pieno centro.

Incrocio tra Leichhardt St. e Edward St. completamente vuoto alle 13:30. Dove sono tutti?


L'area pedonale era completamente ostruita dallo stand di un'agenzia di scommesse e dalla relativa folla. Schermi, videate, dirette, altoparlanti ed ovviamente i banconi della ricevitoria per scommettere sino a pochi secondi dalla partenza. Una marea di turisti confusi sostava cercando di capire cosa succedeva, con accanto le signore australiane imbellettate intente a leggere le ultime quotazioni.
Mi sono fatto prendere dall'euforia. Lo ammetto. All'agenzia di scommesse provvisoria c'erano decine di persone pagate per spiegare ai passanti come scommettere. Ho chiesto, e nonostante la marea di incomprensibili dati sugli schermi, ho constatato che era semplice come compilare il lotto da noi. Al diavolo, mi son detto, 5 dollari in onore della Melbourne Cup! (non si sa mai..)

La ricevitoria volante della TAB tra i turisti e gli scommettitori


Ho consultato gli schermi. Decine di cavalli erano dati a cifre astronimiche, due erano dati ad appena 2 punti, i favoriti, ed alcuni andavano dai 3 ai 5 punti. Mi son detto: le cifre astronomiche saranno relative ai brocchi ed i favoriti magari poi non vincono. Insomma , tra i miei papabili c'erano due bei nomi di cui avevo sentito parlare in mattina: Americain e So you think. Al diavolo, ed ho aggiunto anche quell'altro con la quotazione simile di cui non ricordo il nome. 3 cavalli in tutto. Ma siccome non volevo sprecare denaro proprio a vuoto, ho compilato la scheda dandoli per vincitori, ma anche per piazzati. Vebbè, mi son detto, non facciamo i miserabili a questo punto! Vai con 10 dollari. D'altronde è la Melbourne Cup!

Mi sono messo in fila. Mancavano 10 minuti. Arrivato il mio turno la tipa mi ha chiesto 30 dollari!
Come? dico.
30 dollari. Credo di essere diventato bianco.
Ho deglutito e ho pagato. E mi sono chiesto perchè. Perchè? Ma come avevo fatto? Ma non volevo spenderne 5? Eppure le istruzioni pensavo di averle capite! Mi sono maledetto e mi sono inventato che forse quella ricevitoria era una fregatura nella quale applicavano incomprensibili tariffe alle giocate.

Comunque il mio dramma è stato subito fagocitato dalla partenza della gara.
Un attimo prima del via, d'un tratto, c'è stato silenzio. Anche i commentatori erano zitti. Credo che per 2 o 3 secondi, l'Australia sia rimasta muta, col fiato sospeso.
Poi tutto è esploso. I cavalli si sono lanciati a circa 50kmh lungo la pista, il commentatore urlava frasi sempre più concitate e la gente intorno a me strillava.
Per metà giro o quasi ha condotto quel cavallo che avevo aggiunto all'ultimo monento. Poi, spompato, è sparito nell'anonimato mentre una decina di cavalli si apriva a ventaglio sull'ultimo interminabile rettilineo. A quel punto non ho capito più nulla. Tutti urlavano. Non c'era più l'ordine di gara in sovraimpressione e il commentatore, per quel che ne so, avrebbe pure potuto recitare versi del Corano in aramaico delle Fiandre. Non avrebbe fatto nessuna differenza.

Al traguardo la gente ha esultato per i soldi appena vinti.
Ho aspettato come un fesso di leggere sugli schermi com'era finita perchè sembravo essere l'unico perplesso.
Ho letto i nomi: Americain primo, So you think terzo. Ho riletto. Ho guardato la schedina che avevo in mano. Numero 8 e 11. Americain aveva il numero 8, so you think 11.

Vi lascio così!

It's the Melbourne Cup!

ps: ore dopo ho capito che avevo puntato si 10$, ma su tre cavalli! Ecco il perchè dei 30..